Diario di un giovane siriano, rifugiato politico
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D’Acunto Emilio
Descrizione
Un angolo dell’appartamento appena occupato abusivamente e condiviso con una famiglia romana, che vive la sua condizione di disagio con dignità; i cartoni che, là, non saranno più fradici per la pioggia; la possibilità di andare in giro senza il timore di perdere il riparo per la notte o di avere incollate sulla schiena le coperte, dono della Caritas, e le cianfrusaglie dello zaino; la disponibilità di servizi igienici anche per lavare i pochi capi di biancheria: tanto poco basta per risollevare lo spirito del giovane profugo siriano.
Certo, l’impietosa premessa è dimenticare gli agi familiari e le prospettive professionali, che accompagnavano la sua vita, a Damasco; ora, è uno dei tanti esuli senza mezzi. Per sua scelta: lo ricorda spesso a se stesso nel suo diario, che è al contempo la sua trincea morale e il suo inno alla gioia e alla speranza.
Deve accontentarsi di mezze giornate di facchinaggio; però, siccome è netto il suo rifiuto di vivere da vinto e da eterno questuante, utilizza le conoscenze apprese per gioco, da ragazzo, per fare da aiutante a un ciabattino, dimenticando di essere un archeologo.
Tre frati di un convento della zona, avanti negli anni, prendono a considerarlo come un figlio e a condividere con lui l’angoscia per la famiglia bloccata in Siria, che non ha mezzi per poter dare e ricevere notizie, e per un amore che sembra chiuso a ogni spiraglio per il futuro. Per di più, il giovane porta un nome che evoca, per legami familiari, quello del tiranno siriano. Eppure, non c’è aria di rassegnazione anche tra gli anziani frati… E non solo sulla via di Damasco.
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